motivazione sentenza penale
1.Va ricordato che il sindacato del giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a verificare che la motivazione della pronuncia: a) sia “effettiva” e non meramente apparente, cioè realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non sia internamente “contraddittoria”, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi dal ricorrente nei motivi del suo ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (orientamento consolidato, da ultimo Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 17 giugno – 25 ottobre 2011, n. 38490 Presidente Siotto – Relatore La Posta).
2.Secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte, il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità, nelle sue varie e concrete espressioni – contraddittorietà, illogicità, etc. – deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il sindacato di legittimità “deve essere limitato soltanto a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali” (in tal senso, “ex plurimis”, Cass. Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep. 10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali, dopo aver già in passato precisato che “esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass. Sez. IV, sentenza n. 32911 in data 11.05.2004, dep. 29.07.2004, Rv. 229268).
3. Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 7 luglio 2011 – 20 febbraio 2012, n. 6731
Presidente Marzano – Relatore Casella. “..giova innanzitutto ricordare che, per consolidato, pacifico e risalente assunto giurisprudenziale della Suprema Corte, in tema di sindacato del vizio di motivazione, compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici del merito, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione degli stessi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti e se abbiano, inoltre, correttamente applicato le regole della logica nell’iter argomentativo seguito di guisa da potersi ritenere giustificata la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre (cfr. S.U. n. 930/1996; S.U. n. 12/2000). Va altresì sottolineato che il vizio di motivazione deducibile in sede di legittimità deve, per espressa previsione normativa, risultare dal testo del provvedimento impugnato, ovvero – a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. dall’art. 8 della L. 20.2.2006, n. 46 – da “altri atti del procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame”. Ne discende – quanto al vizio di manifesta illogicità – che, per un verso, il ricorrente deve dimostrare in tale sede che 1’iter argomentativo seguito dal giudice è assolutamente carente sul piano logico e che, per altro verso, questa dimostrazione non ha nulla a che fare con la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, quand’anche in tesi egualmente corretti sul piano logico. Ne consegue che, una volta che il giudice abbia coordinato logicamente gli atti sottoposti al suo esame, a nulla vale opporre che questi atti si presterebbero ad una diversa lettura o interpretazione, ancorché, in tesi, munite di eguale crisma di logicità (cfr. S. U. n. 30/ 1995)”. Di assoluto rilievo altresì le argomentazioni rese in questa sentenza in ordine al verificarsi della causa di estinzione del reato ex art. 129 c.p.p. (nella specie prescrizione) in ordine ad un ricorso – come nella specie – che non presenta profili di inammissibilità: “ …Né presenta il ricorso profili di inammissibilità (tali da non consentire di rilevare l’intervenuta prescrizione posto che si tratterebbe di causa originaria di inammissibilità) avuto riguardo ai motivi dedotti dalla ricorrente in relazione alle argomentazioni svolte dalla Corte d’Appello di Firenze nell’impugnata sentenza prospettando il gravame doglianze concernenti tematiche non solo relative a vizi di asserita, erronea valutazione degli elementi probatori acquisiti ma anche riferite a questioni attinenti a vizi di erronea interpretazione od applicazione della legge penale in relazione ai ritenuti profili di colpa specifica. Deve peraltro ancora premettersi che non ricorre alcun’ altra causa di non punibilità per difetto di condizioni di procedibilità dell’azione penale, che costituirebbe legittimo titolo di proscioglimento dell’imputata, ancor prima della evidenziata causa estintiva (art. 129, comma 1 cod. proc. pen.). Contrariamente a quanto eccepito dal difensore sotto il profilo della dedotta violazione dell’art. 606, comma 1 lett. b) codice di rito,deve ribadirsi la procedibilità d’ufficio del delitto, come contestato, di cui all’art. 590, commi 2 e 3 cod. pen. (lesioni colpose gravi con malattia protrattasi oltre dieci mesi dall’infortunio) ricorrendo anche l’aggravante del fatto commesso con violazione della speciale disposizione antinfortunistica (art. 374 d.P.R. n. 547 del 1955). Come peraltro già motivato dalla Corte d’appello di Firenze, è del tutto pacifico che la G. , alla data del verificarsi dell’incidente, rivestiva la qualità di datrice di lavoro della parte offesa, atteso il ruolo ricoperto di amministratrice unica dell’Azienda agricola (omissis) , alle cui dipendenze l’infortunata prestava attività di collaboratrice domestica nella villa padronale nella stessa azienda ubicata. La M. rimaneva vittima dell’infortunio per essersi appoggiata, con comportamento del tutto normale e per nulla avulso dalle mansioni alla stessa demandate, ad un parapetto della terrazza attigua, costituito da correnti in legno non più idonei allo scopo cui erano preordinati di evitare la precipitazione di chicchessia nel giardino sottostante,a cagione della vetustà e del difetto della necessaria manutenzione. L’incidente si verificava a causa e nell’esercizio delle mansioni espletate dalla lavoratrice, mentre costei svolgeva in particolare attività di controllo e di vigilanza della residenza dominicale,dalla quale non avrebbe potuto allontanarsi se non dopo il rientro dei custodi. La causa di esso risiedeva quindi nella colpose violazioni – ascrivibili all’imputata – della specifica disposizione antinfortunistica, testé richiamata (per l’omessa manutenzione dei correnti in legno) e del più generale precetto dettato dall’art. 2087 cod. civ., essendo del tutto intuitivo che la condotta positiva omessa sarebbe stata idonea ad evitarlo. Per altro verso, non sussistono le condizioni di legge per la sussumibilità del caso nella previsione dell’art. 129, 2 comma cod. proc. pen., anche per quanto di seguito si dirà nell’esaminare la fattispecie ai fini civilistici. È noto, per un principio di ordine generale e sistematico, che in presenza di una causa estintiva del reato, è precluso alla Corte di Cassazione un riesame dei fatti finalizzato ad un eventuale annullamento della decisione per vizi attinenti alla sua motivazione (sia con riferimento alle valutazioni del compendio probatorio, sia con riferimento al vaglio delle altre deduzioni). Il sindacato di legittimità ai fini dell’eventuale applicazione dell’art. 129, secondo comma cod. proc. pen. deve essere circoscritto all’accertamento della ricorrenza delle condizioni per addivenire ad una pronuncia di proscioglimento nel merito con una delle formule prescritte: la conclusione può essere favorevole al giudicabile solo se la prova dell’insussistenza del fatto o dell’estraneità ad esso dell’imputato risulti, ictu oculi, evidente sulla base degli stessi elementi e delle medesime valutazioni posti a fondamento della sentenza impugnata, senza possibilità di nuove indagini ed ulteriori accertamenti che sarebbero incompatibili con il principio secondo cui l’operatività della causa estintiva, determinando il congelamento della situazione processuale esistente nel momento in cui è intervenuta, non può essere ritardata. Qualora il contenuto complessivo della sentenza non prospetti, nei limiti e con i caratteri richiesti dall’art. 129 cod. proc. pen., l’esistenza di una causa di non punibilità più favorevole all’imputato, prevale l’esigenza della definizione immediata del processo. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso in cui già risulti una causa di estinzione del reato, financo la sussistenza di una nullità (e pur se di ordine generale) non è rilevabile nel giudizio di cassazione, “in quanto l’inevitabile rinvio al giudice di merito è incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva” (in tal senso, ex plurimis: S.U. n. 1021/2001; S.U. n., 35490/2009).L’impugnata sentenza deve essere pertanto annullata senza rinvio, ai fini penali, perché il reato è estinto per prescrizione. La declaratoria di estinzione del reato per intervenuta prescrizione comporta la necessità di esaminare le doglianze dedotte, ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili (art. 578 cod. proc. pen.).